Mafia, confronto e Stato di diritto.

Giovedì pomeriggio il Presidente della Commissione Antimafia ha fatto visita a Francavilla. Pur avendo pochissimo tempo a disposizione, mi sono recato a Teatro Imperiali, anche perché ero stato personalmente invitato (e di ciò ringrazio il PRC e il suo segretario). Grande partecipazione di pubblico per una iniziativa che ha visto l’intervento anche del Presidente della Provincia Errico e di altri esponenti, tutti (rigorosamente) di sinistra. Figurarsi se un confronto (sulla mafia, per giunta) poteva essere svolto stabilendo un dialogo o un dibattito con la destra (leggo che il Sindaco si sia presentato spontaneamente all’iniziativa). Meglio allora non avere interlocutori e adeguarsi alle parate in stile Curto-Vitali? Decisamente no. Ma tant’è.
Avrei voluto restare fino all’ultimo, ma non ho potuto. Avrei voluto domandare all’On. Forgione cosa ne pensa del regime del 41 bis e del carcere duro, ad esempio; se non ritiene che si tratti di una contrazione dello Stato di diritto e che quello creato per i mafiosi sia un regime che poco ha a che fare con la funzione rieducativa della pena e molto con la vendetta; se richiedere ai detenuti il pentimento non sia un modo di torturare qualcuno, chiunque egli sia. E siamo bravi a farci i democratici con i detenuti innocui. Perché poi non si capisce come possa essere a noi estranea la pena di morte ma si possa accettare l’applicazione della tortura, ossia la restrizione di alcune normali garanzie previste per il detenuto (ora d’aria, censura della corrispondenza ed altro) che possono essere ripristinate solo allorquando il mafioso dichiari di essersi ravveduto e di voler collaborare con lo Stato, mettendo in conto la possibilità di essere fatto fuori dalla mafia perché traditore.
Ma chiedere di rivedere un regime come il 41bis (speciale divenuto ordinario) vuol dire rendersi impopolari, vuol dire passare per amico dei mafiosi. Molto più comodo votare alla cieca tutti insieme in Parlamento per evitare attacchi demagogici o fare come Berlusconi che sostiene che si tratta di un provvedimento “illiberale ma necessario”.
Un mese fa un giudice ha negato l’estradizione in Italia ad un componente del clan Gambino citando il rischio che questi venga sottoposto ad una forma di tortura come il 41bis; si legge nella sentenza che la coercizione del carcere duro imposto ai detenuti per mafia “non è da considerarsi collegata a nessuna sanzione imposta o punizione e quindi costituisce una tortura”. Eppure ancora una volta la finta contrapposizione tra gli schieramenti si è palesata nel coro unanime di destra e sinistra. “Il fatto che venga da un giudice di un Paese come gli Stati Uniti che applica la pena di morte mi fa pensare”: queste le parole del Ministro della Giustizia sul tema. Bella consolazione. Come dire che non avendo loro, gli Americani, la coscienza pulita, noi possiamo consentirci di derogare ad un principio costituzionale.
Tornando a Francavilla, però, ciò che mi preme sottolineare non è tanto il merito, la sostanza, che, certo, mi stanno a cuore, quanto la forma: so che gli amici e compagni di Rifondazione sono attenti alle istanze e sollecitazioni che provengono da più parti, perciò chiedo loro se non sia giunto finalmente il momento di aprirsi al confronto su tutti i temi con ogni forza politica, innanzitutto invitando alle singole iniziative ogni soggetto esistente, senza una preventiva “analisi del sangue”. A ciò dovremmo cercare tutti di far seguire anche un confronto vero e in grado di evidenziare che le proposte che ognuno ha in coscienza di sostenere sono tanto valide da non temere quelle altrui, ma da cercarle per poterle abbattere.
Diversamente non crescerà nessuno. E le parate resteranno tali.