The scarlet letter

Durante queste festività di fine anno, ritirato nella mia casa di campagna ( nel Salento e non in Toscana) ho riflettuto sul tema della moratoria dell’aborto promossa da Giuliano Ferrara e dal Foglio.
Nonostante gli sforzi ho faticato non poco a comprendere il significato della iniziativa. Mi è sembrato troppo semplice che si trattasse di una mera presa di posizione contro l’aborto tout court, anche perché mi sono detto, chi non è contrario all’aborto, siamo tutti contro l’aborto. Mi sembrava di offendere l’intelligenza di Giuliano Ferrara, che è persona tutt’altro che stupida e banale, se mi fossi fermato a questa considerazione.
Allora mi sono chiesto quale senso potesse avere una moratoria dell’aborto, se non quello di mettere in discussione della legge 194. Questa normativa che bene o male ha operato una regolamentazione dell’interruzione della gravidanza, per taluni aspetti non condivisibile, ha avuto come effetti una diminuzione del numero degli aborti e soprattutto una drastica limitazione del fenomeno dell’aborto clandestino, che significava abortire in casa con le mammane e con l’armamentario tragico che le donne di una certa età ricordano ancora con terrore. Per inciso, non va dimenticato che l’aborto clandestino era riservato alle donne del popolo, perché invece quelle che godevano di una agiatezza economica potevano permettersi di abortire in clinica, all’estero, con tutte le garanzie mediche e di assistenza anche psicologica. Allora ricapitolando, dal momento che siamo tutti contro l’aborto, cosa ci impegniamo a fare concretamente per evitare un dramma che nessun proibizionismo morale e/o penale è mai riuscito a sconfiggere? Qui però finisce tutto e qui sta il limite di una campagna che ahimè è solo demagogica, dal momento che non si può seriamente parlare di moratoria dell’ aborto senza affrontare i temi della contraccezione, di una corretta educazione sessuale, se non si adotta una politica culturale e pragmatica su questi argomenti e su quello più generale e drammatico del sovraffollamento mondiale e dell’esplosione demografica. E’ troppo facile essere contro l’aborto e poi fare finta di nulla, infischiandosene ed abbandonando a se stessa ed alle mammane quella donna che nel quotidiano è costretta a ricorrere, per una miriade di motivi, a fare una scelta così gravosa e sconvolgente. Perché è bene che ce lo mettiamo in testa una volta per tutte: decidere di abortire non è come prendere un’aspirina, ma è una scelta dolorosa, che frequentemente lascia strascichi irreversibili.
Ma questi sono argomenti che Giuliano Ferrara non ha voluto mettere sul piatto della discussione, forse per non turbare, stante il periodo festivo, la digestione di tutti coloro i quali hanno da tempo appaltato ad Oltretevere i temi dell’agenda politica e che si sono affrettati ad aderire alla moratoria.
Sul sito Foglio.it, il 5 gennaio, Ferrara ha ulteriormente spiegato il senso della campagna scrivendo tra l’altro “Credo che mettere l’aborto, non fuorilegge, ma al di fuori della coscienza accettata di ciò che sono i diritti umani, sia cosa buona e giusta”. Come dire, siccome siamo buoni, per quelle donne che scelgono di abortire non c’è la galera ma un bel marchio d’infamia, la lettera scarlatta di hawthorniana memoria che sancisca la condanna dell'empia da parte delle nostre coscienze a buon mercato. Non c’è dubbio, perbacco, siamo di fronte ad un fine intellettuale, non ad un Volontè qualsiasi, ma le parole pur essendo meditate e pesate (buon sangue non mente) tradiscono il fine recondito che sta dietro, che è quello di una cultura controriformista secondo la quale l’equazione è sempre e comunque peccato uguale reato. Per stemperare l’atmosfera tridentina, Giuliano Ferrara ha concluso il suo intervento con una parafrasi di quello che era uno slogan molto in voga negli anni Sessanta “fate l’amore e non l’aborto”. Sarebbe stato più efficace se avesse aggiunto “ e magari fatelo col preservativo”. Ma forse da un ateo devoto non ci si poteva aspettare tanto.
giuseppe napoli