Sono un obiettore: mi rifiuto di cedere all'ignoranza vaticana

Molti sono intervenuti sull'ennesimo, pubblicizzatissimo diktat di Papa Benedetto XVI. Laicisti anticlericali a priori, devoti che ovviamente condividono la posizione espressa dal Vaticano, atei devoti che, "partendo da un punto di vista laico" (il loro, personale ed incontrovertibile), assumono le tesi papaline. Il tema è quello dell'obiezione di coscienza: secondo papa Ratzinger, anche i farmacisti (al pari dei medici) dovrebbero poter obiettare e scegliere di non vendere farmaci comunque connessi con i gravissimi reati (ché ormai il peccato è reato, in Italia) della contraccezione, dell'aborto (in cui il farmacista nulla può) e dell'eutanasia (in Italia vietata, ma sappiamo che il Pastore fa riferimento a qualsiasi interruzione non da egli espressamente condivisa, alla faccia della scienza e della laicità).
Senza rispondere direttamente ai clericalissimi atei devoti, mettiamo qualche puntino sulle i, spiegando anche a Ratzinger due-tre cosine che palesemente ignora: obiezione di coscienza non vuol dire che ci si rifiuta di compiere un qualunque compito connesso con la propria attività perché la propria morale o religione non lo concede.
L'obiettore di coscienza rifiuta di compiere un atto al quale la legge lo obbliga contro la sua volontà e paga le conseguenze del suo rifiuto. Dopodiché, continuiamo a chiamare obiettore di coscienza il ragazzo che sceglie il servizio civile al posto di quello militare, ma chiariamo che è un'obiezione fatta sulla carta. Erano obiettori i primi renitenti alla leva, che sono finiti in carcere per le loro convinzioni; riconosco l'obiezione del medico che fino al 1978 pensava di non dover praticare l'aborto e si è visto poi chiamato a compiere un intervento contrario alla sua morale.
Il farmacista che non vuole vendere farmaci che ritiene immorali ha innanzitutto una grandissima possibilità di scelta: può scegliere di non fare il farmacista. Nessuno lo metterà in gattabuia per questo. Ma vado oltre. E', in linea di principio, assolutamente lecito che un farmacista possa non vendere un prodotto, così come un medico possa scegliere di non praticare un aborto. Interviene però il principio degli interessi contrapposti, delle libertà limitate, che in questo caso può essere risolto solo liberalizzando totalmente il sistema farmaceutico e permettendo l'aborto nelle cliniche private (ora si può praticare solo in ospedali pubblici), sia con metodi fisici che farmacologici (ora non permessi), pagato dallo Stato così come avviene ora nelle strutture ospedaliere pubbliche.
Una donna che non vuole rimanere incinta o beccarsi una malattia ha tutto il sacrosanto diritto di acquistare un contraccettivo e un farmacista ha tutto il diritto di rifiutarsi di venderglielo, ma solo se la sua libertà di scelta non viola la libertà della donna. E non la violerà se un altro farmacista ha la possibilità di comportarsi diversamente.
In realtà il discorso non si chiude qui. Scegliere di non vendere un farmaco non è equivalente a scegliere di non vendere nella propria macelleria carne di cavallo, è un servizio pubblico di altissima rilevanza sociale. Un poliziotto non violento non può obiettare all'uso delle armi da fuoco, un pompiere ecologista non può rifiutarsi di usare l'acqua così come un medico testimone di geova non può rifiutare di praticare una trasfusione: semplicemente non scelgono quel lavoro.
Ma per gli atei devoti vige un principio di base al quale prestare fede come ogni bravo invasato: combattere la deriva laicista dell'occidente dimenticando la laicità.