Partito democratico: scelta di libertà o battaglia oligarchica?

E' sempre di attualità il dibattito sul partito democratico. Nella bolgia, nella discussione oziosa sulla necessità di dar vita a un nuovo partito nel quale abbiano cittadinanza tutte le istanze del variegato popolo del centrosinistra, una questione e solo una andrebbe affrontata: si sta infatti parlando, noiosamente parlando, di un contenitore, di un nuovo partito che sappia trovare nella diversità la sua forza e non il suo limite. Eppure, al di là della vaghezza del concetto, non si riesce ancora a discutere di un progetto e, quindi, del contenuto.

Cosa deve essere questo Pd? Oggi, il dilemma è posto come se dovessimo scegliere di andare a vivere in una casa con delle persone senza sapere quale sia il loro stile di vita, le loro abitudini e le loro esigenze. Magari pensare di andare a viverci perché ci piace la casa esternamente ma poi all’interno la disposizione dei mobili è orripilante per qualcuno e gradevole per qualcun altro. Oppure alcuni mangiano con le posate e non sopportano gli altri commensali che mangiano a mani nude. Ecco, questo mi sembra il progetto di Pd, oggi. E’ una bomba a mano che potrebbe scoppiare da un momento all’altro nel cuore del centrosinistra, che sa di avere di fronte una sfida impegnativa, decisiva. Ma dubito che gli Italiani ci stiano capendo qualcosa. Dubito che il popolo ulivista, diciamo così, si sia fatto un’idea e possa dare un contributo alla creazione di questo nuovo soggetto. Anche perché, e soprattutto perché, nessuno ha chiarito su cosa si deve discutere, quali rapporti ci siano in ballo. Appare in corso un braccio di ferro tra l’ala filocentrista dei Rutelli, “accarezzata dall’idea di accarezzare” il potente e indistruttibile partito d’Oltretevere, e i D’Alema e Fassino, protesi a schiacciare la parte di derivazione non socialista, in senso stretto, per rinchiuderla come in uno scatolone stracolmo e stravecchio. In mezzo, il tentativo, generoso e forse poco realistico, dei “volemose bene” prodiani, più sganciati dall’approccio ideologico e, nello stesso tempo, più inclini al tecnicismo annacquato.

Mi rendo conto di quanto difficile sia introdurre tematiche che possano trovare una soluzione comunemente accettata e accettabile da tutti gli iscritti e simpatizzanti, ma un inizio si dovrà pur provare. Chiaro anche che il punto forse più delicato è quello relativo alla sintesi tra laici e cattolici ( che a mio avviso è già sbagliato indicare in questo senso: la sintesi è già nella laicità). Eppure molti continuano a non capire, ad opporsi, a lisciare il pelo. E’ vero: non è l’unico nodo difficile da sciogliere: la giustizia, ad esempio, è una brutta gatta da pelare, se si tiene presente che le derive forcaiole e giustizialiste sono sempre in agguato e pronte a girontondare per chiedere la testa del Berlusconi di turno.
Eppure l’indulto, nonostante Di Pietro, lo si è votato.

Invece l’intransigenza clericale rende impossibile trovare un incontro sui temi riguardanti l’etica. E l’accoglienza riservata, qualche settimana fa, ad un grande intellettuale come Rodotà dalla componente cattolica durante il primo confronto proprio sul tema, rende perfettamente l’idea della difficoltà della sfida. Allora, è da qui che bisognerebbe partire, dall’accettazione della laicità come punto di incontro e non come impostazione da combattere; la laicità come interesse comune e non di una parte. Anche perché è sulla laicità che il grande popolo del centrosinistra, cattolico e non, si è sempre ritrovato nelle storiche battaglie di libertà ( divorzio e aborto, ad esempio), lasciando i vertici in difficoltà e costringendoli, in un secondo momento, a farsi seguire per mancanza di alternative e per calcoli opportunistici.

E’ dal popolo delle primarie che bisognerebbe ripartire, dando a questo proprio un ruolo propositivo e non di passiva accettazione delle scelte oligarchiche dei vertici.

Chi continuerà a non capire tutto questo?