Cinema & cinema

Il Cinema è un vero e proprio linguaggio, con il suo lessico, la semiotica, la lettura del film; un linguaggio settoriale, specialistico, ed anche esoterico, a cui fanno ricorso la critica, la teoria cinematografica e tutti coloro che hanno assunto il cinema come oggetto di studio e di analisi.

Il linguaggio in uso si è progressivamente infittito, oltre alle abituali espressioni più o meno tecniche, specialistiche o sofisticate, di riferimenti continui ad aree disciplinari diverse dal cinema in senso stretto. La strumentazione concettuale e lessicale si è notevolmente arricchita, allargata e, inevitabilmente, complicata.

Uno scontro culturale vi fu tra l’ipotesi di agire sulla modificazione delle condizioni di ricezione del messaggio e quella di agire direttamente sulla produzione di nuovi tipi di messaggio.

Purtroppo le due tesi di processo furono viste come oppositive, anziché come due momenti dialettici, e fu la seconda a raccogliere consensi più ampi, dunque a configurarsi come la più praticabile via per una rivoluzione nel campo della percezione e dell’informazione audiovisiva.

Oggi persiste una situazione oggettiva di mancata socializzazione del sapere, e ciò non ostante internet; una situazione che deve essere radicalmente mutata attraverso un progetto complessivo di politica culturale che investa direttamente e globalmente i luoghi e le forme di produzione, distribuzione e fruizione del sapere.

C’è però una tendenza di un’effettiva penetrazione nel mondo delle scuole della problematica relativa alle forme e alle strutture della produzione testuale audiovisiva, e la domanda in questa direzione è sicuramente alta.

Sono sempre più coloro che si dedicano allo studio e all’analisi del cinema con intenti specialistici: dallo studente dell’ultimo anno delle scuole medie superiori, a quello dei primi anni di università, come pure l’insegnante, l’operatore culturale e tutti coloro che per ragioni di lavoro o di studio, in un progetto di barthesiana ricerca di “conoscenza in sé deliziosa”, sono interessati ad un’assimilazione delle tecniche di costruzione-decostruzione del discorso filmico, ad una presa di coscienza dei problemi che l’analisi del cinema ha posto e pone.

Il linguaggio cinematografico è costituito dall’insieme dei codici specifici, anche se la nozione di “codice” solleva grandi resistenze in relazione alle diverse accezioni che il termine possiede (regola, legge, ecc.) e al desiderio di salvaguardare il carattere spontaneo della creazione, in genere ribelle ad ogni tentativo di analisi.

Il “codice” è uno strumento, atteso che c’è anche una strumentalità interna all’arte, ma la scrittura filmica è un’istanza che lavora in rapporto ai codici, che si costruisce in larga misura lavorando contro gli stessi, perciò si distingue la scrittura filmica dal linguaggio cinematografico.

Ogni film è un lavoro collettivo, non è mai l’opera di una sola persona, in quanto implica molteplici collaborazioni e un’elaborata lavorazione. E’ raro che un regista possegga contemporaneamente anche le capacità di uno sceneggiatore, operatore, attore, montatore, tecnico del suono… e sembra finito il tempo in cui, dei titoli di testa, il pubblico tenga a mente solo il nome degli attori.

Era certamente comodo assimilare tutti i film di uno stesso cineasta nel concetto di Opera, quasi a non significare né il cinema né il film, ma ciò che caratterizzava era la fedeltà dell’autore a se stesso. Per la maggior parte dei critici era la rappresentazione di una visione del mondo, di una filosofia, di tutto ciò che per certi versi ancora oggi ci si compiace di richiamare: i temi, le ossessioni, cioè le idee di un cineasta, come ad esempio Antonioni e l’incomunicabilità, Renoir e la gioia di vivere, Bergman e l’angoscia della morte e la ricerca disperata di Dio, Donen e la commedia musicale, Hitchcock e una certa forma di poliziesco.

In altre parole, oggi la critica rifiuta il cineasta detentore del senso; al contrario cerca di cogliere il paradosso di un autore che non è padrone esclusivo del suo film; non soltanto egli non possiede il senso di ciò che fa, ma la sua opera si carica di sensi diversi che non aveva previsti né controllati.

Al cinema, come in letteratura, il destinatario dell’opera – colui che legge e guarda un film – contribuisce alla produzione dell’opera. L’autore dunque non è che il punto di partenza della produzione di senso, della catena di significanti che lo trascende, e di cui egli non è in grado di tenere ambedue le estremità. Del resto, parlare dell’opera di un cineasta equivale a sottintendere questa nozione di successione indefinita, di catena senza fine, di continua ricerca. In tal modo, spettatore e critica non costituiscono un procedimento simmetrico a quello dell’autore, ma prolungano la creazione e segnalano che la creazione non è mai finita e che essa è opera di tutti.

“Mi piacerebbe poter nuovamente stendermi sul divano che c’era nella sala da pranzo di mia nonna. Ascolterei suonare le nove dalla vecchia torre del castello e guarderei le ombre disegnate sul soffitto dai riverberi attraverso i ricami delle tende”

Questo sogno di Bergman ci riporta alle origini del cinema. La sala di cui egli parla evoca la camera oscura. Si trattava di una scatola senza alcun’altra apertura che un minuscolo buco in una delle sue pareti. Sulla parete opposta si formava la riproduzione esatta, ma invertita, di ciò che si poteva vedere al di fuori. La camera oscura non è altro che un modello dell’occhio.

La sua invenzione si perde – è il caso di dirlo – nella notte dei tempi. Platone la suggerisce nel suo famoso “mito della caverna” ( a proposito invito a vedere lo straordinario video con musica di Leonard Cohen allegato in fondo a questo  testo).

La camera oscura era senza dubbio conosciuta dagli Egizi nel IV secolo a.C. e anche dai Romani.

Il monaco Ruggero Bacone, nel XIII secolo, descrive il suo funzionamento; ma fu Leonardo da Vinci che la rese celebre. L’avvento della camera oscura nella nostra storia coincide con la generalizzazione della prospettiva in pittura e con il folgorante progresso dell’ottica. A partire dal Quattrocento, l’ottica geometrica comincia a diventare il modello delle scienze.

L’occhio è al centro delle conoscenze. Le metafore visive, come ha notato Nietzsche, abbondano nella filosofia dal Quattrocento all’Ottocento. Gli stessi Marx e Freud fanno ricorso alla metafora della camera oscura. Per Marx essa illustra l’ideologia, l’immagine rovesciata dei processi reali; per Freud essa esprime la fase inconscia dei processi psicologici.

La camera oscura diventerà lanterna magica, poi apparecchio fotografico, infine cinepresa.

E’ importante comprendere che queste scoperte successive provengono da una stessa fonte.

Dal Rinascimento in poi l’uomo occidentale è visivo. Il pensiero si struttura non più a partire dal corpo, ma a partire dall’occhio soltanto. Leonardo da Vinci appare come colui che meglio ha rivelato questo uomo visivo. Leonardo da Vinci è il vero inventore del cinema..

Appassionato a un tempo di ottica e di meccanica, egli è precursore della “società dello spettacolo”.

Con lui l’uomo occidentale cessa di toccare, di stringere le cose, immerso nel loro vortice di vita.

Le vede, se le rappresenta, le fissa e le pensa.

Dalla balestra ai razzi, passando per la cinepresa, l’uomo occidentale devia la sua libido, la proietta in uno spazio infinito, nel vuoto di uno schermo immaginario, in un cielo inaccessibile, Pierrot sovrano, Icaro imperialista, ha bisogno dell’intero universo per rimuovere il suo corpo.

In altri termini, si trattava di tradurre l’esperienza dei nostri sensi – ciò che tasta, ascolta, ecc. -, giudicata troppo rozza, in un linguaggio visivo. Si tratta di fissare, di trattenere, di conservare traccia dei movimenti più sottili, più sfuggenti della vita. Come non raffrontare questa impresa con quella di Leonardo da Vinci che notava nei suoi appunti: “Li pittori spesso cadono in disperazione …vedendo le loro pitture non avere quel rilievo e quella vivacità che hanno le cose vedute nello specchio”. Leonardo voleva produrre non soltanto immagine animate, ma un oggetto che potesse volare. L’invenzione simultanea dell’aeroplano e del cinema alla fine dell’Ottocento, sarà la conclusione tardiva di questo progetto grandioso.

L’invenzione relativamente recente del cinema, l’inadeguatezza della teoria, la forte pregnanza dell’analogia e la differenza qualitativa apparente tra questo mezzo di espressione e gli altri, hanno a lungo permesso che si pensasse al cinema come ad una nuova lingua, libera da qualsiasi influenza precedente, in grado di utilizzare mezzi propri e, infine, talmente semplice da non poter dirne nient’altro che era l’arte del movimento. Ma si avvertiva, da vari tentativi, che non tutto era così semplice e così cinematografico: non si contano più gli accostamenti fatti tra il cinema e il teatro, o il romanzo, o la pittura. Ma finora questa volontà di comprendere globalmente e rapidamente fenomeni tanto complessi come queste differenti forme di espressione, ha portato solo a miseri risultati e a confronti sbilenchi.

Da qualche tempo a questa parte, il progredire delle ricerche teoriche, tanto in linguistica che in semiologia della pittura o del cinema, per esempio, permette di sostenere non soltanto che il cinema non è, contrariamente a quanto si sia potuto affermare, un linguaggio senza codice, ma che i testi filmici sono intrecci strutturali di una moltitudine di codici. E, tra questi codici, una parte soltanto può essere detta propriamente cinematografica, ovvero i codici specifici che appartengono solo al cinema, mentre i rimanenti codici sono di fatto non specifici, vale a dire che si possono rinvenire in altri linguaggi oltre che nel cinema.

Il linguaggio cinematografico, come altri che sono molto particolari, non è tenuto a funzionare in un campo ben delimitato. Non conosce settori di senso che esso non possa investire o da cui non possa essere investito. In questo appartiene ai linguaggi “ricchi” come la letteratura, il teatro, ecc., che sono proteiformi e ai quali niente di ciò che costituisce la vita culturale e sociale è estraneo.

Il cinema può infatti, a priori, dire tutto, resta aperto a tutti i simbolismi, a tutti i problemi e a tutte le mode del momento, a tutte le ideologie, così come resta aperto a tutte le correnti artistiche e a tutte le invenzioni dei cineasti.

Questa apertura a tutto ciò, che a rigor di termini non è cinematografico, è tanto più grande quanto più abbondante è la produzione di film, e quanto più essa deve essere alimentata, e il cinema deve sempre fornire l’immagine di essere in presa diretta sulla realtà contemporanea.

Parodossalmente il cinema implica il massimo dei codici che vengono ad aggiungersi ai suoi propri, tanto che sembra che non ne usi. La credenza nella “verità” e nella “naturalità” dello spettacolo cinematografico dipende appunto da questo.

 

Glossario cinematografico

Rispetto ad un comune prodotto industriale, il film è caratterizzato dall’esistenza di uno stadio zero, al limite paragonabile al brevetto, che gli conferisce un carattere quasi artigianale, e dalla separazione tra la produzione industriale e il suo finanziamento.

Il film si differenzia dalle altre forme di spettacolo per l’importanza che rivestono la distribuzione e l’esercizio. L’industria cinematografica si suddivide in quattro branche economiche: i fabbricanti (produttori); i grossisti (distributori); i dettaglianti (esercenti); gli impianti industriali del cinema (studi, laboratori, produttori di materiali) che costituiscono l’infrastruttura.

Nel processo di produzione si distinguono le fasi di ideazione e progettazione, realizzazione, completamento.

Nell’accingerci a stilare un piccolo glossario cinematografico, notiamo come il cinema sia un fenomeno psico-sociologico, con un’impressione di realtà determinato da un codice tecnologico, secondo il principio della fabbricazione e del funzionamento dell’apparecchio cinematografico, che costituisce il sistema complesso che riproduce il movimento, lo analizza, lo conserva e lo ricompone all’occorrenza.

Si pensi al flash back di per sé dotato di verità certa, che si tratti di una testimonianza o di un semplice ricordo: la parte in flash back è data come “più vera”, più essenziale che la parte “in presente”.

Il flash back ha generalmente un ruolo descrittivo o esplicativo nel racconto; al momento dato può fornire la chiave di un enigma, giustificare il comportamento, il carattere, il ruolo di un personaggio. Esso ha dunque una funzione di supplemento di informazione, che lo spettatore acquisisce incontrovertibilmente quale verità certa, e questa funzione informativa si somma ad una funzione narrativa, intervenendo in seno alla finzione ritardandone e modificandone il corso.

 

Accelerazione: Effetto speciale che consiste nell’effettuare la ripresa ad una velocità inferiore a quella normale (da 6 a 12 immagini al secondo invece delle abituali 24). Proiettato successivamente a frequenza normale, il film produce un’accelerazione di tutti i movimenti; l’effetto è tanto più evidente quanto più grande è la differenza tra frequenza di ripresa e frequenza normale. Il suo contrario è l’effetto di rallentamento.

 

Alternato (montaggio): Successione di inquadrature che fanno vedere alternativamente due o più azioni simultanee ma spazialmente distanziate.

 

Angolazione: L’angolazione determina la porzione visiva di spazio ripreso dalla cinepresa. Essa varia a seconda degli obiettivi utilizzati - dal grandangolo al teleobiettivo – e dalla posizione della cinepresa (ripresa dall’alto o dal basso a seconda della posizione della cinepresa rispetto al soggetto inquadrato).

 

Animazione: Il cinema permette di riprodurre movimenti a partire da immagini fisse (fotogrammi). Normalmente la cinepresa analizza automaticamente il movimento. Essa registra 24 fotogrammi al secondo. Si chiama animazione ogni tecnica di ripresa di immagini fisse effettuata in modo da ottenere sullo schermo l’effetto del movimento. Ogni fotogramma può essere costituito da una posa (foto fissa) o più frequentemente da un disegno. L’animazione può essere ottenuta senza cinepresa.

 

Campo/Controcampo: Una cinepresa puntata su un soggetto riprende una porzione di spazio che si chiama campo. Il controcampo è un’inquadratura ripresa da una direzione diametralmente opposta.

 

Campo di presa: Porzione di spazio ripresa dall’obiettivo e riprodotta sulla pellicola. Varia a seconda della distanza del soggetto ripreso, della posizione della cinepresa e del tipo di obiettivo usato. Si distinguono in campo lunghissimo che guarda ad una porzione di spazio il più vasto possibile ed è usato per dare una visione d’insieme dei luoghi dove si svolge un’azione; campo lungo per abbracciare uno spazio ampio, dove l’evidenza del luogo e dell’ambiente è ancora preponderante rispetto a quello di persone o oggetti che però si lasciano distinguere; campo medio o mezzo campo lungo dove la figura umana risulta meglio distinguibile, senza tuttavia essere ancora isolata dall’ambiente come nei piani ravvicinati.

 

Carrellata: Spostamento della cinepresa su un carrello su rotaie o veicolo o portata a mano, che permette una ripresa in movimento. Ci sono diversi tipi di carrellata: in avanti, indietro e a seguire (quando la cinepresa segue il movimento di un attore o di un veicolo). Per carrellata ottica si intende un movimento di avvicinamento o di allontanamento rispetto al soggetto, ottenuti non attraverso movimenti di macchina, ma attraverso l’impiego di un obiettivo a focale variabile o zoom (da cui i termini gergali zoomata o zumata).

 

Carrello: Piattaforma mobile che si muove su pneumatici o su rotaie, sulla quale è sistemata la cinepresa per le riprese in movimento (carrellata). Per carrello aereo si intende un carrello che scorre su rotaie fissate ad una certa altezza e che viene impiegato per le carrellate dall’alto.

 

Chassis: E’ una scatola che contiene le bobine di pellicola vergine, o impressionata al riparo dalla luce, ed è applicata alla cinepresa. Si chiama anche “magazzino” e nel passo ridotto prende il nome di “caricatore”. Lo chassis permette di ricaricare la cinepresa in pieno giorno e in pochi istanti. L’autonomia di ripresa - in 35 mm - è di 4’ e 40” per lo chassis di 120 metri, di 10’ e 50” per lo chassis di 300 metri.

 

Ciak: Attrezzo formato da una piccola lavagna munita alla base di due assicelle unite a una estremità da una cerniera in modo che quella mobile può battere contro l’altra. Il “ciak” viene battuto da un addetto all’inizio di ogni ripresa. Generalmente la lavagna porta scritto il titolo del film, il nome del regista, il numero dell’inquadratura e quello della ripresa. Questi dati vengono letti a voce alta dall’addetto e trascritti dalla segretaria di produzione (o “script girl”). Oltre all’identificazione del numero della ripresa, il “ciak”, grazie al rumore prodotto dalle due assicelle, serve a sincronizzare il suono con l’immagine.

 

Coda: pezzo di pellicola che può essere velato, nero o trasparente, e che viene utilizzato sia all’inizio sia alla fine delle bobine. Ogni film montato è dotato di una coda iniziale standard e di una coda finale. Le code sono utilizzate anche per separare le sequenze sonore con un silenzio assoluto tra le piste magnetiche nelle bobine destinate al missaggio.

 

Colonna-guida: La colonna-guida è la colonna sonora registrata durante le riprese, senza tuttavia avere le qualità della presa diretta del suono, in quanto la sua funzione è quella di fare da “guida” nelle successive operazioni di doppiaggio e post-sincronizzazione. Infatti, le registrazioni della colonna-guida vengono sostituite, in fase di sincronizzazione, con dialoghi e rumori registrati in auditorium. La colonna-guida serve a registrare l’ambiente sonoro captato nel corso delle riprese, e permette per esempio agli attori di ritrovare in fase di doppiaggio le intonazioni iniziali.

 

Controfigura: persona incaricata di sostituire l’interprete principale in scene pericolose, spiacevoli o per incombenze sgradevoli nel corso delle riprese (messa a punto dell’illuminazione).

 

Controtipaggio: Operazione mediante la quale si ottengono i controtipi. Dopo aver montato e tarato la copia definitiva del negativo originale, si stampa un positivo speciale su pellicola a grana fina allo scopo di evitare manipolazioni dell’originale, cosa che consente di ottenere nuovi negativi su una pellicola speciale a grana molto fina. A partire da questi nuovi negativi si stampano nuove copie, dette “controtipi”.

 

Copia: La copia di lavorazione è l’esemplare ottenuto dal montatore a partire dai giornalieri, che mostra la struttura definitiva del film. Dopo di che, questa copia, montata su due colonne (visiva e sonora), è rimandata al laboratorio. Essa serve da modello per ottenere il negativo originale a partire dalle riprese numerate e classificate.

La copia di proiezione è destinata alla distribuzione e comprende sullo stesso supporto la parte visiva e quella sonora. Per ristabilire il sincronismo, nelle copie di proiezione il suono precede di 24 fotogrammi, perché sugli apparecchi di proiezione il passaggio della pista davanti al lettore ottico del suono avviene circa un secondo dopo (21-24 fotogrammi) il passaggio davanti al quadruccio di proiezione. Questo scarto è reso necessario dalla eterogeneità delle due piste: a scorrimento discontinuo l’immagine e a scorrimento continuo il suono.

Le copie sono generalmente stampate in formato standard (35 mm). Vengono tuttavia ancora stampate, attraverso un procedimento di riduzione dall’originale, anche a passo ridotto (16 mm), destinate in genere a un circuito “paracommerciale”, ma sempre più negli ultimi anni è diffusa la copia digitale per la distribuzione e proiezione.

 

Dissolvenza: Per dissolvenza si intende il progressivo estinguersi dell’immagine fino al buio (dissolvenza in chiusura o fondu) con momentanea sospensione del continuum filmico. Il procedimento inverso, quando cioè l’immagine dal buio va progressivamente schiarendosi, prende il nome di dissolvenza in apertura. La dissolvenza segna in genere uno scarto temporale tra due sequenze. Per dissolvenza incrociata si intende una breve sovrapposizione di immagini per cui si vede svanire a poco a poco l’ultima inquadratura e apparire gradatamente la prima inquadratura della sequenza successiva.

 

Dolly: Piccola gru montata su un carrello, spesso automobile, per le riprese di carrellate o per riprese mobili in interni o in esterni di dimensioni ridotte. Attrezzo messo a punto nella scuola della commedia musicale americana.

 

Doppiaggio: Operazione che consiste nel registrare nuovi dialoghi o commenti in un’altra lingua. Nel corso del doppiaggio, il film è proiettato davanti agli stessi attori del film o da attori specializzati, accompagnato da una colonna sulla quale è scritto il dialogo da registrare. Nel caso frequente di film in altra lingua originale, il traduttore del dialogo ha il compito di trovare parole che corrispondano pressappoco al movimento delle labbra degli attori, restando il più possibile aderente al senso originale. Il doppiaggio è di fatto una post-sincronizzazione.

 

Duplicating: Pellicola negativa speciale di grana molto fina che permette di ottenere nuovi negativi (duplicate) a partire da un positivo speciale detto lavanda o marrone.

 

Effetto Kulesov: Il cineasta russo Lev Kulesov, per dimostrare l’importanza del montaggio cinematografico, aveva realizzato la seguente esperienza: mostrare successivamente la medesima inquadratura dell’attore Mozzuchin seguita di volta in volta da quella di un bambino, da una donna in una bara e da un piatto di minestra. La giustapposizione delle coppie di inquadrature aveva come effetto di far percepire allo spettatore sul volto di Mozzuchin, nel primo caso la tenerezza, nel secondo la tristezza, nel terzo la fame.

 

Effetti sonori: Gli effetti sonori o “rumori” che un tempo erano prodotti da esperti “rumoristi”, sono attualmente ottenuti attraverso la registrazione magnetica “in diretta” - oltre che da campionature digitali - o provengono dalle apposite fonoteche o “archivi sonori” delle case di produzione. Essi costituiscono, assieme alla musica e ai dialoghi, la colonna sonora del film.

 

Effetti speciali: Procedimenti tecnici che, sfruttando diversi artifici fotografici, permettono di ottenere effetti spettacolari (cataclismi, apparizioni di creature mostruose, ecc.).

 

Emulsione: Strato di bromuro d’argento in gelatina, sensibile alla luce, fissato su una pellicola di acetato di cellulosa chiamata supporto. Per estensione si chiamano emulsioni i vari tipi di pellicole corrispondenti alle necessità delle riprese e dei trattamenti in laboratorio. L’emulsione è detta “vergine” prima della sua impressione durante le riprese (negativo o invertibile) o la stampa (positivo o lavanda).

 

Fabbisogno: Il fabbisogno di scena è un inventario molto preciso, fatto sulla base della sceneggiatura, da un assistente o dal direttore di produzione, di tutto l’arredamento, i costumi e gli accessori necessari per la ripresa delle singole scene del film. Contiene le indicazioni per il lavoro del trovarobe, dell’architetto, del tappezziere e del segretario di produzione.

 

Fotogrammi: Immagini fisse il cui scorrimento ad una certa velocità dà l’illusione del movimento. Attualmente tale velocità è di 24 fotogrammi al secondo. La durata di un’inquadratura è dunque legata al numero dei fotogrammi che la compongono.

 

Frequenza: Velocità di scorrimento del film. Si misura in numero di immagini al secondo. La frequenza normale di proiezione al cinema è di 24 fotogrammi al secondo. Quella della televisione è di 25 immagini al secondo. La frequenza del cinema muto era di 16 fotogrammi al secondo.

 

Fuoco (messa a): Operazione che consiste nel regolare l’obiettivo per ottenere sulla pellicola un’immagine nitida in funzione della distanza del soggetto. Nel corso di una stessa inquadratura il soggetto è spesso in movimento. E’ necessaria quindi una costante messa a fuoco. Questa è effettuata dall’operatore se si tratta di un reportage; se si lavora invece su un découpage (tecnica con la quale il regista individua nella sceneggiatura le singole riprese da effettuare) prestabilito, è effettuata dall’operatore ai fuochi che ha questa specifica mansione. In una stessa inquadratura si possono provocare degli effetti di sfumato regolando la messa a fuoco successivamente su due soggetti distanziati più o meno dalla cinepresa. In questo caso bisogna adottare una modesta profondità di campo.

 

Giraffa: Carrello sormontato da un braccio articolato all’estremità del quale c’è un microfono.

 

Giuntatrice: Strumento di montaggio costituito da una piccola pressa. Vi si inseriscono le due estremità di pellicola da congiungere.

 

Gru: Braccio mobile di grandi dimensioni che può ruotare su una piattaforma anch’essa mobile (camion). Porta alla sua estremità un’altra piattaforma, pure mobile, che fa da supporto alla cinepresa e ai sedili per l’operatore e il regista. Grazie ai movimenti combinati delle differenti parti mobili del suo insieme, permette riprese in continuità molto elaborate.

 

Inquadratura: Determinazione del campo visivo operata dalla cinepresa. L’inquadratura fissa i limiti del campo (scelta dell’angolazione e della scala del piano) e l’organizzazione interna del campo (messa in evidenza in uno spazio ridotto di personaggi e oggetti).

In quanto unità di montaggio l’inquadratura può essere definita anche come un tratto di pellicola che registra un’azione senza visibile discontinuità di tempo e di spazio. Con quest’ultimo significato si può dire in modo più semplice che un’inquadratura è il frammento di pellicola compreso fra il ciak e lo stop di una stessa ripresa o tra due giunte successive di una copia di lavorazione.

 

Inserto: Primissimo piano che porta un’informazione necessaria alla comprensione di una sequenza di film: frammento di giornale, lettera, orologio, quadrante, targa, ecc.

 

Latensificazione: Procedimento di laboratorio che rinforza la densità dei negativi sottoesposti.

 

Mascherino: Schermo opaco che si colloca tra la pellicola e l’obiettivo, che permette di mascherare una parte del campo oppure di sagomare a piacere il quadro (inferriata, binocolo, buca della serratura). Togliendo il mascherino relativo alla parte precedentemente nascosta e mascherando invece quella già impressionata con un contromascherino, è possibile girare una seconda scena che si giustappone alla prima nell’ambito di una stessa inquadratura. Questo procedimento permette ad un attore di recitare due ruoli contemporaneamente in un solo e unico ambiente.

 

Microfonista: Colui che sostiene l’asta portamicrofono che viene utilizzata tutte le volte in cui non è possibile ricorrere alla giraffa. Si tratta di un assistente del tecnico del suono che ha il compito di effettuare tutti gli spostamenti del microfono necessari per la registrazione delle battute degli attori.

 

Missaggio: Dal francese mixage. Fase finale della sonorizzazione di un film, realizzata generalmente a partire da tre piste sonore precedentemente registrate: quella dei dialoghi, quella dei rumori e quella della musica. Queste tre piste sono quindi mescolate e dosate dal “mixeur”.

 

Moviola: Tavolo di montaggio che permette lo scorrimento sincrono di una colonna visiva e di più colonne sonore, ottiche o magnetiche, con proiezione su piccolo schermo di controllo e lettura simultanea delle piste sonore. Ne esistono vari tipi:a scorrimento orizzontale e a scorrimento verticale (moritone).

 

Obiettivi: In ogni cinepresa un sistema di lenti produce sulla superficie della pellicola sensibile un’immagine del soggetto ripreso. Gli obiettivi sono intercambiabili. Essi sono classificati in base alla loro apertura massima (diaframma 1,4 o 2,8 per esempio) e alla loro distanza focale. Questa determina l’ampiezza del campo: grandangolo (focale inferiore a 50 mm), normale (focale di 50 mm), teleobiettivo (focale superiore a 50 mm).

 

Off: Termine inglese, abbreviazione di “off screen”, fuori schermo, fuori campo. Tutto ciò che è situato fuori del campo rappresentato sullo schermo. Suono “off” è il suono la cui fonte non è visibile sullo schermo. Spazio “off” è lo spazio latente, presupposto in base a quello rappresentato, situato sia ai quattro bordi dello schermo sia tra la superficie dello schermo e lo spazio dello spettatore.

 

Operatore: Tecnico della ripresa visiva o della ripresa sonora. Una équipe di ripresa comprende: un capo operatore o direttore della fotografia; un operatore alla macchina; un operatore ai fuochi, due aiuti operatori. Una èquipe di ripresa sonora comprende: un capo operatore o tecnico del suono; un microfonista; un recordista. Si chiama operatore anche l’addetto al funzionamento degli apparecchi di proiezione.

 

Piano di presa: E’ il piano che viene messo a fuoco dall’obiettivo. Da esso dipende la dimensione, o più esattamente la proporzione, in base alla quale vengono ripresi gli elementi presenti nello spazio. Esso varia con il variare della distanza della cinepresa dal soggetto e del tipo di obiettivo.

Si distinguono:-

- piano generale: mostra l’insieme della scenografia nella quale si svolge un’azione, e ove i personaggi non possono essere riconosciuti, in quanto risultano semplici silhouettes;

- piano d’insieme: mostra un gruppo di personaggi riconoscibili in una scenografia;

- piano medio o mezza figura: quando la figura è ripresa a mezzo busto;

- piano americano: quando la figura è inquadrata fino al ginocchio;

- mezzo primo piano: quando la figura è ripresa fino alla cintola;

- primo piano: inquadra un personaggio dalla testa a mezzo busto;

- primissimo piano: inquadra il solo volto di un personaggio;

- dettaglio: inquadra un particolare del corpo di un personaggio (mano, bocca, ecc.).

Classicamente, si definiscono i diversi piani di presa in rapporto alla figura umana, ma bisogna tener presente che si tratta di definizioni che hanno un valore relativo, soprattutto per quello che riguarda le inquadrature di oggetti.

 

Pista (o colonna sonora): Parte situata sul lato sinistro della pellicola, per il film a 35 mm tra l’immagine fotografica e le perforazioni. Su questa pista è registrata la traccia fotografica dei suoni (per il suono ottico). Tra il suono e l’immagine c’è una disparità fissa di 19 fotogrammi, ovvero di 362 mm. Questo scarto permette uno scorrimento continuo della pellicola davanti alla testina di lettura, perché quando passa davanti all’obiettivo il suo movimento è intermittente.

 

Praticabile: Impalcatura mobile sulla quale si collocano i proiettori o la cinepresa.

 

Profilmico: Tutto ciò che si mette davanti alla cinepresa o davanti cui si mette la cinepresa, affinché essa riprenda.

 

Profondità di campo: Procedimento ottico che permette di ottenere immagini altrettanto nitide sia in primo piano sia sullo sfondo.

 

Provino: Per un attore, breve scena che permetterà di giudicare le sue doti o la sua fotogenia. Indica anche uno spezzone di pellicola che viene impressionato e sviluppato per permettere all’operatore di eseguire controlli tecnici fotografici.

 

Rallentamento: Gli viene preferito, nell’uso comune, il termine francese “ralenti”. E’ un effetto speciale che si ottiene eseguendo delle riprese a una velocità superiore a quella normale. Proiettato in seguito a frequenza normale, il film produce un rallentamento di tutti i movimenti. L’effetto di rallentamento, utilizzato nel cinema scientifico, permette di osservare fenomeni inaccessibili all’occhio umano (incidenti, deflagrazioni, ecc.). Si utilizzano in tal caso cineprese speciali che possono registrare diversi milioni di fotogrammi al secondo.

 

Recordista: Dall’inglese “recorder” (tecnico addetto al “recording”, registrazione elettromagnetica del suono). E’ l’assistente del tecnico del suono che controlla sull’apparecchio di registrazione elettromagnetica la costanza dei livelli sonori e il sincronismo della registrazione.

 

Retino: Dispositivo che, intercalato in un fascio ottico, può accrescerne la diffusione. Davanti a un proiettore il retino dà un’illuminazione meno puntuale. Utilizzato soprattutto davanti all’obiettivo della cinepresa, il retino permette di ottenere un’immagine meno “incisa”, più vaporosa (effetto nuvola) messa a punto dai fotografi della pubblicità. Le immagini ottenute si chiamano “retinate”.

 

Riccio: Ansa di pellicola lasciata libera (in una cinepresa o in un proiettore) per permettere il passaggio del movimento a trazione continua prodotto dal primo rocchetto dentato a quello a scatti (intermittente) prodotto dalla giraffa e viceversa (tra la croce di Malta e il secondo rocchetto di trazione).

 

Quadruccio: Finestra di forma rettangolare che serve a delimitare il fotogramma nella cinepresa e nel proiettore.

 

Ripresa (numero di): Quando si gira un film si riprende più volte la stessa inquadratura. Queste successive riprese vengono numerate. La script girl prende nota di quelle che devono essere stampate.

 

Scaletta: Riassunto in poche pagine di una sceneggiatura, della quale costituisce la prima forma di elaborazione. Quella successiva, più ampia e dettagliata, prende il nome di trattamento.

 

Script-girl: Segretaria di produzione. Annota giornom per giorno tutto il lavoro realizzato durante le riprese e la descrizione esatta delle scene girate: tenuta degli attori, stato della scenografia, durata delle sequenze, numero delle riprese effettuate, indicazioni utili ai laboratori di stampa, ecc.

 

Sensitometria, sensitometro: Studio dell’azione della luce sulle emulsioni fotosensibili. La sensitometria si basa sulla fotometria (misura della luce) e la fotochimica (conoscenza delle reazioni chimiche sotto l’effetto della luce). La sensitometria è alla base dello sviluppo industriale della produzione dei film e del loro trattamento in laboratorio.

 

Set: Luogo in cui si gira un film, in esterni o in interni. Così uno studio è costituito da un certo numero di “set” di diverse dimensioni.

 

Slapstick: Termine di origine teatrale (arnese costituito da due tavolette, detto anche spatola di Arlecchino, che serve a produrre rumore quando gli attori si scambiano botte) che indica per estensione il gag cinematografico e, quindi, i film imperniati sull’uso dei gag.

 

Slow-burn: Tecnica di recitazione dell’attore che consiste nel far nascere la comicità di un gag attraverso la sua lenta preparazione e la lunga realizzazione, particolarmente utilizzata per i lenti deterioramenti di situazioni inizialmente semplici e poi irrimediabili.

 

Soggetto: E’ un’esposizione succinta dell’argomento, della trama o dell’intreccio del film. Può essere originale o tratto da un’opera teatrale o letteraria precedente. Spesso gli viene preferito il termine “scenario” che, per quanto italiano, ha maggior fortuna in Francia, dove viene usato per indicare tanto il soggetto che la sceneggiatura di un film. Da esso deriva il termine “scenarista”, che designa tanto un soggettivista che uno sceneggiatore.

 

Sonorizzazione: Termine complessivo che designa le diverse operazioni che riguardano la registrazione della musica, dei rumori, dei commenti (se ce ne sono). Può anche designare a volte il doppiaggio o la post-sincronizzazione.

 

Spot: Proiettore che permette di concentrare la luce su un’area limitata.

 

Stacco: Passaggio brusco, senza dissolvenza o altro effetto ottico, da un’inquadratura a un’altra.

 

Studio: Edificio attrezzato per la realizzazione di film. Comprende dei set, sale di montaggio, laboratori per la conservazione del materiale di illuminazione, delle riprese e delle registrazioni sonore effettuate, camerini per gli attori e per il trucco, sale da proiezione, vasti capannoni per la conservazione delle scenografie e di altri accessori. Infine, gli studi tradizionali sono circondati da grandi spazi che permettono di realizzare riprese in esterni (piazze, strade, stazione, ecc.). Vedere ad esempio il film di Truffaut, Effetto notte (La nuit américaine, 1974).

 

Supporto: Le pellicole utilizzate in fotografia e nel cinema sono costituite da una pellicola infiammabile (triacetato di cellulosa) chiamato supporto, e ricoperta da uno strato di gelatina al bromuro d’argento chiamato emulsione.

 

Suspense: Azione di grande tensione il cui esito è tenuto in sospeso. O ancora: dilatazione del presente preso tra due possibilità contrarie di un futuro imminente. Può essere anche definito, non tanto da uno stretto punto di vista di economia narrativa, ma anche in relazione allo spettatore come “momento o passaggio di natura tale da far sorgere un sentimento di attesa angosciosa”.

 

Taratura (o bilanciamento): E’ raro che i negativi di un film presentino una densità fotografica omogenea; come è raro che inquadrature prese in condizioni differenti riunite dal montaggio si colleghino senza cambiamenti di tonalità. La taratura ha per scopo di stabilire un negativo (duplicate) omogeneo che servirà a stampare le copie di proiezione. Per ottenere il duplicate si parte dal negativo originale (negativo madre) e si tira un positivo speciale, facendo variare l’esposizione secondo la densità del negativo. E’ questa appunto l’operazione che si chiama taratura.

 

Tendina: Procedimento ottico che serve da passaggio da un’inquadratura a un’altra: tramite l’impiego di un mascherino, si ottiene che un’immagine sia progressivamente coperta da destra a sinistra o viceversa, dall’immagine successiva.

 

Titolatrice: Accessorio che permette di realizzare film o frammenti di film (per esempio i titoli di testa) in animazione.

 

Trasparente: Schermo traslucido sul quale vengono proiettate immagini di esterni davanti alle quali gli attori recitano una scena ripresa in modo tale che sembri si svolga in quegli esterni.

 

Trattamento: 1) Termine generico con il quale si definiscono i vari procedimenti chimici (inversione, stampa, sviluppo) cui la pellicola viene sottoposta nei laboratori fotocinematografici.

2) Nello sviluppo di un soggetto cinematografico costituisce la fase intermedia tra la scaletta e la sceneggiatura vera e propria. Comprende già la descrizione delle scene in cui il film si articola, le azioni dei personaggi e indicazioni sufficienti anche sul tipo dei dialoghi che per esteso sono riportati solo nella sceneggiatura.

 

Truka (o truca): macchina costituita da un banco ottico ad asse orizzontale con la quale possono essere eliminati determinati errori di ripresa; possono essere riprodotti singoli fotogrammi, realizzati effetti di accelerato o rallentato ed eseguiti un gran numero di trucchi. Può essere usata anche come titolatrice.

 

Zoom: Obiettivo a focale variabile che permette di modificare la scala dell’inquadratura senza spostare la macchina da presa. Per esempio, in un piano medio la cinepresa si fissa su un personaggio, si esegue uno zoom su questo personaggio e si ottiene un primo piano del suo volto.

 

* Questo mio testo è ampiamente tratto da un libro diffusamente letto da molti degli appassionati di cinema, già in uso tra gli studenti di cinema e teatro a cavallo degli anni ‘70 e ‘80: “Attraverso il Cinema”, con presentazione di Christian Metz e cura dell’edizione italiana di Antonio Costa, volume III della biblioteca cinema per l’edizione di Longanesi & C.

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